Andrea Jaeger: da numero 2 del tennis all’abito da suora!

di Redazione 1

Chi ha qualche anno sul documento di identità sicuramente ricorderà quella ragazzina bionda che nei primi anni ottanta si apprestava a diventare una stella di prima grandezza nel tennis internazionale.

Andrea Jaeger, questo il nome della giovane promessa che calcò i campi in terra rossa o in cemento, dando non poche preoccupazioni a campionesse del calibro di Chris Evert, Martina Navratilova e Billie Jean King.

Ebbene, se qualcuno di voi la ricorda correre dietro a una pallina gialla a menar racchettate, dimentichi pure quell’immagine, perché Andrea ora è diventata Sister Andrea. Un nome d’arte? No, il nome che ha scelto di portare da quando nel 2006 ha preso i voti, facendosi suora.


Avete capito bene. La ragazzina terribile che si è permessa di dare una lezione sul campo di Wimbledon alle sue più quotate avversarie, la biondina che ha scalato velocemente le classifiche ATP, arrivando fino al secondo posto, ora si è “rinchiusa” in un convento della Chiesa Episcopale del Colorado.

E meno male che non ha deciso di diventare suora di clausura, altrimenti non avremmo avuto la possibilità di raccontare la sua storia!

I miei genitori non mi hanno spinto al tennis. Mio padre Roland e mia madre amavano giocare e io passavo ore a guardarli. Allora ho voluto giocare anch’io. Ho vinto il mio primo torneo a 9 anni, a 13 quelli del college. I miei però facevano molti sacrifici e allora decisi di diventare professionista a 14 anni.

Un’enfant prodige, insomma, tanto da essere la più giovane tennista ad entrare nel tabellone di Wimbledon e da accumulare in soli sei anni di attività un milione e mezzo di dollari, che in quegli anni significavano essersi assicurati la tranquillità economica per il resto della vita.

Ma Andrea non ha solo bei ricordi legati a quel periodo. Ricorda ad esempio il rapporto controverso con il suo papà-allenatore, un ex pugile di origine tedesca tutto regole ed imposizioni:

Il giorno prima della finale con la Navratilova litigai con mio padre. Stava per picchiarmi e io uscii dalla stanza, sapendo che non avrebbe avuto il coraggio di farlo in pubblico. Martina era alloggiata nell’appartamento di fianco, entrai e cercai di chiamare un taxi. Il trainer di Martina cercò di aiutarmi con qualche numero di telefono, ma lei mi guardò appena di sfuggita.

Questo era il professionismo: era più importante concentrarsi sulla gara del giorno dopo che aiutare una ragazzina spaventata!

Questo uno dei motivi che l’hanno convinta ad allontanarsi da quel mondo, complice anche un infortunio alla spalla ed il fatto che nel circuito girassero steroidi e cocaina. Un mondo che ora non le appartine più:

Ho sempre sentito dentro di me la chiamata ad aiutare quelli che hanno bisogno. E’ nella mia anima fin da quando ero bambina. I miei genitori non andavano in chiesa e non c’era una Bibbia nella nostra casa, ma per qualche ragione sentivo che Dio mi aveva fatto il regalo della fede.

Ed eccola qui con suo abito lungo, chiamata alla missione dell’amore. Ora è felice e la palla da tirare al di là della rete non è che un lontano ricordo!

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